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FUTURE OFF THE WALL

  • Immagine del redattore: Concentrica
    Concentrica
  • 14 mag 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Oltre le difficoltà, oltre i limiti che la società impone, i giovani d’oggi riescono ad abbattere il muro e riacquistare il loro futuro?



Scrivere ai ragazzi di Conselice per i ragazzi di Conselice non è facile.

Per il primo articolo di questa rubrica dedicata a voi partirò da un punto che tutti noi abbiamo in comune: 

L’adolescenza è il periodo più difficile, anzi, forse  il peggiore della vita.  

Mi sembra un buon inizio. 

L’adolescenza, in un certo senso, è il tempo dello squilibrio, del disordine, della ricerca del “perché” e di uno scopo, della rivoluzione sfrenata sia interiore che esteriore. 

In ognuno di noi tutto questo si somma e porta a una sorta di disagio, un senso di “non appartenenza”, un dolore o una sofferenza nelle profondità del nostro essere. 

Questo perché i desideri e le emozioni, in questa fase della vita, hanno la forza di un uragano, non si trovano le risposte alle domande che ci poniamo e la razionalità non è ancora ben  formata e stabilizzata. 

Di conseguenza non siamo sempre in grado di controllare  un vortice di questa portata.

Ma purtroppo o per fortuna questo è un passaggio che prima o poi tutti dobbiamo affrontare, un tunnel che dobbiamo attraversare, e perciò è un ottimo argomento da cui cominciare. 

Voglio dunque porre l’attenzione su questo dolore misto a confusione che noi giovani talvolta proviamo e che non ci sappiamo spiegare.

Ora, non dico che tutti siamo sempre infelici, ma che ci sono dei periodi in cui ci si abbandona a questo disagio di fondo. Dunque, in uno di questi momenti, provate a chiedere ad un vostro amico il motivo della sua sofferenza, o provate a chiederlo direttamente a voi stessi: sono sicura che una gran parte di voi riceverà una risposta simile a “Boh, non lo so, però sto male”.

Umberto Galimberti, filosofo e sociologo dei nostri tempi, giornalista di Repubblica, si è interessato molto a queste problematiche. Nelle prime pagine del suo libro ‘La parola ai giovani’ afferma che questo disagio giovanile e adolescenziale non ha una natura tanto psicologica quanto ‘culturale’ perché, e qui lo cito: 

“… il futuro che la nostra cultura prospetta ai giovani non è una promessa come lo era per i loro padri, ma qualcosa del tutto imprevedibile, che non retroagisce come motivazione capace di sostenere l’impegno richiesto dallo studio in vista di una professione o di un lavoro al quale ci si sente chiamati.” 

In altre parole, è come se fossimo privati del nostro futuro e quindi anche di noi stessi, del nostro scopo e delle motivazioni che ci spingerebbero a raggiungerlo. 

E’ come se perdessimo quella spinta a migliorarci, ad evolverci  e a crescere insieme all’interesse per se stessi e per gli altri.  

Eppure i giovani, tutti noi siamo il propulsore del mondo. 

Non è una frase fatta, uno slogan vuoto senza fondamento o un mucchio di parole scritte a caso. 

La natura ci ha voluti così. 

I ragazzi dai 15 ai 30 anni sono biologicamente programmati per l’ideazione di nuove idee, nel cervello si creano nuovi e più veloci collegamenti. In quest’arco di tempo l’essere umano raggiunge il massimo della funzionalità cerebrale, fisica e sessuale.

Pensate solo ad Albert Einstein che alla sola età di 26 anni ha messo a punto la Teoria della Relatività Ristretta. 

Insomma, questa si potrebbe definire come ‘l’età d’oro dell’essere umano’ ma purtroppo la società costruisce muri,  traccia sentieri ben definiti per ognuno di noi e pone dei limiti. 

Ad esempio, per quanto riguarda l’ambito scolastico, c’è la sensazione che il sistema proponga dei metodi standardizzati per tutti gli studenti senza tener conto delle loro passioni e curiosità. Da qui l’immagine e la percezione di un insegnante a cui importa non tanto catturare la curiosità e la fiducia dei ragazzi quanto portare a termine i programmi già prestabiliti. Da qui il disagio e il disinteresse nei confronti dei libri o dello studio in generale. 

Per la realtà in cui ci troviamo, ancora, è impensabile provare a costruire una famiglia prima dei trent’anni senza avere una stabilità economica ed essersi affermati nel proprio lavoro. E, se qualcuno ce la fa, comunque sarebbe visto quasi come ‘diverso’ o ‘non conforme alla normalità’. 

La riflessione poi si sposta sugli adulti: si potrebbe dire che attualmente, in molti casi, essi concorrano  a privare i giovani del loro futuro, impoverendo e inaridendo i loro sogni, le loro propensioni. 

Può succedere che, se un ragazzo che frequenta le scuole medie dimostra interesse e passione per l’arte o una qualsiasi altra materia non convenzionale, subito venga bloccato con la motivazione che: “una scelta del genere non porterebbe altro che una vita faticosa e piena di delusioni.” 

Ribadisco il concetto: si ha la tendenza a tagliare le ali invece che a farci spiccare il volo.  Bruciano i sogni sul nascere prima ancora che possano prendere forma e comparire limpidi e nitidi fra le nostre idee. 

E allora perché sforzarsi a studiare o a lavorare?  Perché impegnarsi e applicarsi in uno o più ambiti quando l’unica prospettiva che ci viene presentata è solo quella di un lavoro in fabbrica o qualcosa di simile ? (sebbene queste occupazioni siano senza dubbio lodevoli e anzi, utilissime)

Perchè non dare una prospettiva? 

Perchè non aspirare ad altro? Perchè non avere fiducia in se stessi? Perchè non sognare per poi scoprire di potercela fare e provare la gioia di essere arrivati a realizzarsi? 

Perchè non volare sopra il muro?


Eleonora Zanoni.



Ragazzi miei.

Io ho ventisei anni e credo di aver superato tutto questo turbinio di emozioni, ormoni e “ignoranza” già da qualche anno ma una cosa la so.

Credo che nella vita bisogna capire un paio di cose: chi sei? Cosa fai? E cosa ti piace?

Durante questi anni avete la meravigliosa opportunità di provare, mettendovi in gioco, quello che potreste fare per tutta la vita.

Vuoi diventare un avvocatessa sposata con tre figli? Una rockstar sregolata come Kurt Cobain? Oppure vuoi essere il Cristiano Ronaldo del 2020? Va bene tutto, basta che ci provi veramente. 

Fatevi guidare dalle emozioni, da un istinto che ancora non avete raffinato e siate incazzati ma allo stesso costruttivi.


Arrivati a questo punto vorrei farvi mille esempi di come tanti ragazzi sparsi per il mondo ce l’abbiano fatta, per esempio il mio preferito è Notorious B.I.G. che a poco più di vent’anni fece uscire il suo primo album “Ready to die” cambiando per sempre la musica rap nel mondo.

Ma credo che finirei per allontanarmi troppo dalla nostra realtà e quindi ho deciso di riportarvi la mia esperienza con tutti i miei errori.

Prima però è d’obbligo precisare che non voglio essere un esempio, penso solamente che potrebbe essere utile per farvi vedere una prospettiva più ampia.


Torniamo indietro di una decina di anni, vi parlo di quel periodo in cui il Rap era per pochi, non passava in televisione o radio, Instagram come lo conosciamo ora era ancora un sogno e finire steso sull’asfalto rovente cadendo da uno skate era all’ordine del giorno. 

In quegli anni ero un ragazzo come voi, niente di più e niente di meno, ma ero già consapevole di non voler finire a percorrere una strada già scritta da alcuni miei familiari, dai professori o dalla società stessa.


Io avevo fame.

Non intendo quella di pancia, io mi riferisco a quella che non si sazia finché non riesci a prenderti quello che vuoi dal mondo, quella che ti fa mettere in gioco anche se la vita si contrappone con qualsiasi mezzo possibile. 

Io ero quello strano, quello che preferiva fare uno scarabocchio sul muro o su un foglio piuttosto che dare un calcio ad un pallone. 

Passavano gli anni, sono andato alle superiori e lì ho iniziato a sfogare tutta la rabbia che avevo per l’autorità: dalla professoressa poco simpatica e un po’ ottusa, ai miei genitori e ad altre figure che non nominerò.

Poi finalmente sono arrivato in quinta superiore e poco prima della fine della scuola, in un giorno come tanti, il mio professore di italiano, a sorpresa, mi ha dato tre depliant, di tre università di Graphic Design.

Io mi ricordo ancora di averlo preso in giro con una grossa e insolente risata: “Io all’università?! Ma prof ho 2 in matematica e 2 in economia e siamo a ragioneria”. 

Lui è rimasto in silenzio. 

Tornando a casa mia madre era già informata di tutto e d’accordo con il professore mi ha obbligato a partecipare, appena finita la maturità, al test di ingresso di una facoltà di Design a Urbino, molto famosa e rinomata.

Pensate un po’? Non ho passato nemmeno la prima selezione, non avevo le basi e non mi ero preparato in modo adeguato. 

Pieno di me mi ricordo ancora come ho cercato di sminuire mia madre e il mio professore pensando di aver ragione e di sapere che “studiare non è figo”.

Ho provato in un’accademia a Rimini poco dopo, sempre per goliardia e indovinate? 

Ora sono laureato con un 108\110, sono riuscito a trasformare quello che era una passione per lo scarabocchiare ad un vero e proprio lavoro e ho scoperto che sono le persone intelligenti quelle più fighe, che si può avere tutto dalla vita semplicemente usando il cervello e non qualsivoglia altro strumento.

Tutto questo per dirvi che la scuola vi pone un sacco di obblighi, vi fa scegliere una strada quando il concetto stesso di istruzione è ancora lontano da voi.

La famiglia vi pone dei limiti, alcuni giusti e alcuni meno, quando non sapete nemmeno cosa voglia dire famiglia nella maggior parte dei casi.

La società vi impone dei prototipi in cui trasformarvi, abolendo quello che potrebbe essere una soluzione alternativa.

Cosa posso consigliarvi io? Tirate fuori le unghie, abbiate rispetto per i genitori ma allo stesso tempo lottate per far capire a loro cosa vi piace, fregatevene di quello che pensano “i fighi” perché per esperienza personale sono quelli che nella vita hanno guadagnato di meno. Prendete ispirazione, abbiate degli idoli ma non fateli santi.

Siate chiunque voi vogliate essere, per capire bene chi sarete un giorno.


Michael Cardinali.


Graphic by Michael Cardinali



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