CONCENTRICA INTERVISTA: PAOLA
- Concentrica
- 4 ago 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Concludiamo questa prima discussione sul fondamentale tema della scuola.
Come ultima tappa della nostra argomentazione abbiamo scelto di concludere in bellezza rivolgendoci ad uno studente neodiplomato per far emergere il parere di chi, la scuola, l’ha vissuta a trecentosessanta gradi.
Ciao Paola! Presentati ai lettori di Concentrica:
Ciao sono Paola, ho 19 anni. Per adesso nella mia vita studio: mi sono appena diplomata al Liceo Linguistico di Imola e, a settembre, proverò a fare il test per entrare a Medicina.
Oggi, con te, parliamo di scuola: tre parole per descrivere la tua esperienza e perchè.
Anche se è un po’ triste direi “RIMPIANTO” perché, se penso ai miei cinque anni passati al liceo, rimpiango un po’ la scelta del linguistico: infatti col tempo mi sono resa conto che un percorso più scientifico mi sarebbe servito molto di più per affrontare il test e in generale per raggiungere i miei obiettivi.
Proprio per questo, la seconda parola potrebbe essere “CAMBIAMENTO” perché ho iniziato questo percorso essendo sicura che le lingue potevano piacermi e in un qualche modo far parte della mia vita, ma, anno dopo anno, mi sono resa sempre più conto che le mie attitudini erano molto diverse dalle mie aspettative iniziali.
Infine direi “ADATTAMENTO” perché ho imparato a studiare e a raggiungere buoni risultati anche studiando e affrontando argomenti che non mi piacevano del tutto.
Secondo te, negli anni, si è perso fra i ragazzi il valore della scuola? Noi giovani riusciamo a riconoscerla come un’opportunità o è ormai diventata un surplus, un qualcosa di più?
No, secondo me l’importanza della scuola è assolutamente indiscutibile, non riuscirei a pensare a un mondo senza questo percorso, non solo dal punto di vista prettamente formativo, ma anche per quanto riguarda la crescita personale e la socializzazione.
Per quanto riguarda i miei coetanei e noi ragazzi in generale, sicuramente il discorso cambia a seconda della personalità, le attitudini e gli interessi di uno studente.
in realtà ritengo anche che incidano molto i professori che, dal mio punto di vista hanno come “perso” la capacità di interessare gli studenti, in modo tale da far sentire a loro il peso della routine scolastica e dello studio.
Al contrario di come dovrebbe essere, si sta sviluppando un sistema in cui ci si sente sempre più in gabbia, come se il lavoro dei docenti fosse solo portare a termine il programma e noi ragazzi fossimo obbligati a un determinato percorso.
Quindi ci vorrebbe quel qualcosa in più da parte degli insegnanti per accendere l’interesse nello studente e fargli capire come lo studio, l’imparare nuove nozioni, sia giusto in se e abbia un’importanza reale e non solo teorica.
Per fortuna io non mi sono sentita “in gabbia” ma vedo che altre persone non hanno avuto una bella esperienza, purtroppo.
Quale miglioramento apporteresti tu se oggi avessi l’opportunità di cambiare qualcosa all’interno di questa istituzione e se domani incontrassi il ministro dell’Istruzione, cosa gli diresti?
Il problema, per me, sorge da come gli insegnanti si pongono nei confronti degli studenti, mi spiego meglio: spesso si ha l’impressione che ci considerino solo come delle ‘teste da riempire’, quando invece dovrebbero accertarsi di suscitare un minimo di vero interesse a chi sta dall’altra parte della cattedra.
Infatti ho riscontrato che molti ragazzi, nel momento in cui non vedono da parte del docente la passione per l’insegnamento e il voler arrivare alla classe, di conseguenza perdono automaticamente la voglia e la spinta a interessarsi a quella materia.
La soluzione potrebbe essere quella di sradicare la concezione della scuola come un obbligo, come un qualcosa che mi da dei voti, che mi giudica. Forse, se fosse vista in modo più leggero o come una cosa che veramente può essere utile nella vita in modo concreto, noi ragazzi sicuramente alla apprezzeremmo molto di più e impareremmo a darle il giusto valore.
A proposito di innovazioni tecnologiche, con l’avvento della pandemia, la scuola ha fatto grandi passi avanti per adattarsi all’ esigenza di rispettare le distanze sociali: cosa ne pensi di una scuola molto più veloce, smart?
So di classi “2.0” che utilizzano tablet in aula e, visto da fuori, mi attrae molto.
Sicuramente sarebbe molto bello e interessante utilizzare mezzi tecnologici in classe perché rivoluzionerebbe il modo di fare lezione e ci sarebbero modi più semplici, veloci e alternativi alla solita spiegazione frontale.
Prima della pandemia per alcune materie come inglese, io utilizzavo già GoogleMeet e GoogleDrive e, con questi metodi alternativi di apprendimento, i professori sono riusciti a valorizzare molto e a rendere interessanti e spesso anche leggere le proprie materie.
Ovviamente, dal mio punto di vista le lezioni online non dovrebbero mai sostituire quelle in presenza: infatti durante la quarantena eravamo legati allo schermo per molte ore al giorno mattina e pomeriggio, molto di più rispetto a quanto eravamo abituati, causando anche malessere psicofisico.
Quindi sono d’accordo con l’integrazione di strumenti smart e più veloci in classe, ma non credo sia appropriato sostituirli completamente alla lezione.
Tu, quest'anno, hai avuto la maturità, una maturità assolutamente unica nel suo genere: qual’è la cosa che ti è piaciuta di più e quale quella che hai odiato? Descrivici la tua esperienza.
Quello che non mi è piaciuto è stato il fatto di avere tempi molto ristretti. infatti entro l’1 giugno abbiamo ricevuto l’assegnazione di un tema e in una settimana dovevamo realizzare una presentazione su slide e nel frattempo si doveva anche studiare perché il 17 sarebbero iniziati gli orali. Quindi quei giorni sono stati un concentrato di studio e ore davanti al pc.
Non mi è piaciuto ricevere informazioni all’ultimo momento e non del tutto chiare, a causa della situazione imprevedibile, a cui nessuno era preparato, senza poi considerare l’ansia per l’esame in se che non ha aiutato certamente.
Dall’altra parte, mi dispiace comunque di non aver fatto le prove scritte, mi sarebbe piaciuto fare l’esame tradizionale anche per un suo valore simbolico.
Del resto, bisogna dire che i professori ci hanno aiutato molto, non ci hanno per nulla messo in difficoltà ma questo non significa che i risultati ottenuti siano stati regalati. E’ stato comunque difficile per chi lo ha affrontato con serietà.
Tutto sommato la scuola non è poi l’esperienza più brutta della vita: qual’è la cosa che ti porterai per sempre nel tuo bagaglio di vita personale?
Ricorderò sempre quanto sto per raccontare.
Il mio professore di filosofia ha deciso di concludere l'ultima lezione del quarto anno leggendoci la poesia di John Donne "Nessun uomo è un'isola".
Questo comportamento ha suscitato in me una sorta di invito all'empatia, un richiamo ad uscire dalla proprio Ego verso qualcosa di più grande che è l'umanità.
Grazie a queste righe mi è parso chiaro e lampante come l'uomo in quanto tale, non può essere considerato un individuo a sé, ma ha sempre bisogno di relazionarsi con gli altri.
Ma se da una parte il rapporto con gli altri ci arricchisce, dall’altra potrebbe sminuirci. Ogni persona che fa parte di una comunità, viene sminuita e ferita dal dolore o dal venire a meno dell'altro, proprio per questo, e cito il componimento, «non bisogna chiedersi per chi suona la campana: essa suona per te». Tutti noi facciamo parte dell'umanità.
Credo che con questa poesia il mio professore volesse darci un grande insegnamento che, ad oggi, posso dire di aver colto e fatto mio:
il richiamo all'umanità non può essere mai sbagliato soprattutto in un momento come questo, in cui molti si dimenticano che non siamo individui ma persone.
Ciao e grazie mille da Concentrica!!
Eleonora Zanoni.

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