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CONCENTRICA INTERVISTA: PROFESSORESSA MANCINI

  • Immagine del redattore: Concentrica
    Concentrica
  • 3 lug 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Nello scorso articolo di Agorà abbiamo iniziato a raccontare la scuola dal nostro punto di vista. Oggi proseguiamo questa riflessione proponendo un’intervista ad una professoressa, Stefania Mancini, insegnante alle scuola superiore di primo grado a Conselice.


Qual è stato il suo percorso per diventare professoressa?


Io parto come studentessa del liceo classico, percorso che ha cambiato il mio modo di pensare: questa scuola dà una mentalità e una cultura che, secondo me, allenano ad affrontare molte situazioni.

È una strada difficile che però formativa.

Ho iniziato l’università di lettere, anche se con una certa esitazione, perché comunque mi interessava molto anche l’ambito scientifico. 

Terminata l'università di nuovo mi si è posto il problema del : “che cosa fare nella vita?” e nonostante io non avessi mai pensato di fare l'insegnante la mia riflessione è stata: ”quale lavoro può mantenermi a contatto con i libri e con le materie che amo e trasmettere questo amore a qualcun’altro?”.

Ho amato terribilmente la scuola e le materie che ho affrontato lì e per me diventava difficile allontanarmi da quel mondo.

Mi sono ritrovata, quindi, a fare esami e tirocini per la SSIS (Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario). Una volta presa la mia abilitazione, ho iniziato subito a insegnare qui a Conselice. 

Ad aprile del terzo anno di insegnamento sono diventata insegnante di ruolo: all'inizio ero terrorizzata dalla prospettiva di insegnare perché c'è la paura di parlare di fronte a 20 persone che prendono per buono tutto quello che dici per cui hai una certa responsabilità. 

Per fortuna, più il tempo passava più tutto diventava più naturale. Si diventa insegnanti anche con l'esperienza.



La tecnologia all'interno della scuola è qualcosa che è stata inserita solo negli ultimi anni quanto ha influito sul modo di insegnare? Come hanno reagito gli alunni all'uso di questa tecnologia?


L’uso di strumenti elettronici può essere un bene ma anche un male: ci si connette molto di più al mondo reale perché l'uso della LIM permette di consultare materiali con cui fare lezione; questo però per me ha portato, in parte, alla perdita del pensiero “logico consequenziale”.

Ciò significa che noi troviamo subito il risultato della ricerca che facciamo solo spingendo l’invio della tastiera e non sempre sappiamo come ci siamo arrivati.

La tecnologia dà molto l'idea del “qui e adesso” e manca tutto il discorso di andare a recuperare le informazioni nella memoria. 

Inoltre, per gli studenti, imparare qualcosa a memoria adesso è diventato un qualcosa di inutile. 

Io cerco di spingere molto di più sul fatto che i miei studenti devono cercare di ricordare e imparare le cause-effetto di un determinato evento storico, più che le date in sé. 

Questo perché le date si possono andare a recuperare mentre capire i collegamenti tra causa e conseguenza di un fatto storico è qualcosa che si fatica a trovare su internet e sicuramente per una persona è meglio saper fare questi collegamenti in autonomia.


Nel periodo di lockdown si sono aggiunte poi anche nuovissime piattaforme, come Meet o Classroom.

In questo modo il contatto umano è mancato completamente perché la schermata con 20 facce non è come essere all'interno di una classe. Mi sono accorta che la tecnologia spesso finisce per eliminare l'emotività.



Studenti come hanno reagito all'uso della tecnologia durante questa epidemia?


Qualcuno ha sentito comunque la mancanza della scuola, inizialmente il pensiero di tutti è stato “festa grande!”.

Poi è cominciato il periodo in cui si cominciano a chiedere i compiti e si fa lezione e vedevi chi si interessava comunque o chi non partecipava per nulla alla lezione a scuola: chi prima si “defilava” ma rimaneva presente in aula, con l’avvento delle lezioni online spariva del tutto.

Chi a scuola era motivato a lavorare, a casa spesso non aveva voglia di alzarsi nemmeno dal letto.

Spesso succedeva che la classe intera era presente solo durante le verifiche mentre durante le lezioni alcuni studenti mancavano o non si connettevano.



Parlando invece in termini generali della scuola italiana, spesso gli studenti sembrano studiare per raggiungere un voto adeguato e non per imparare davvero ciò che stanno studiando.

Seguendo questa riflessione, l’importanza attribuita al voto è giusta?


In realtà la scuola si sta muovendo sempre di più nella direzione di annullare il valore del voto, ma lo sta facendo, secondo me, nella maniera sbagliata: lo studente tramite il voto, impara ad imparare (e questa è, secondo il mio parere, la valenza del voto per cui non andrebbe mai tolto).

Lo spiego meglio con un esempio: un pasticcere fa una torta ma, se non la assaggia, non sa se è venuta bene o no. In questo caso l'assaggio corrisponde al voto. 

Se non viene fatta una valutazione lo studente come capisce se ha imparato? 

Spesso i ragazzi non lo capiscono, nonostante sia ancora comprensibile per la fascia d’età a cui insegno io. Bisogna fare attenzione a sapere che non tutti i voti sono uguali: 

Non è che se prendi un brutto voto in una materia vuol dire che non sei capace di fare nient'altro. Ognuno è portato per qualcosa.



E Secondo lei il metodo di insegnamento che viene utilizzato è corretto? La scuola riesce a fornire gli strumenti adatti ai ragazzi per formarsi e sviluppare le loro capacità e talenti? Servirebbe una scuola impostata su una scelta più libera sulle materie e i corsi da seguire da parte dei ragazzi?


Secondo me a scuola non deve proporre allo studente solo ciò che può interessargli, perché questo vuol dire fargli fare solo quello di cui è capace.

A scuola si devono anche imporre cose che uno studente potrebbe odiare, secondo me. Se qualcuno non ti fa capire in che cosa non sei bravo, come fai a capire in cosa sei bravo?


Per quanto riguarda la libera scelta, io, qualche volta,  dico provocatoriamente che bisognerebbe reintrodurre l'esame in quinta elementare e togliere l'obbligo di frequenza scolastica alla fine delle medie.

L’esame alla primaria dava allo studente un senso di responsabilità. 

Mentre per quanto riguarda l'obbligo di frequenza, per me il limite potrebbe essere la scuola media perché le medie, se fatte come si deve, permettono già di capire ciò piace e ciò che non piace. Il problema è che spesso i ragazzi non hanno la maturità per capirlo. 


Prolungare l'obbligo fino ai 2 anni di superiori iniziali è, per me come lasciare attaccato un cordone ombelicale che non serve più.

Inoltre con questo metodo si potrebbe pensare di rimodellare l'insegnamento alle superiori in modo tale da togliere materie inutili per un determinato corso di studi già nei primi anni.

Spesso alcuni miei ex studenti venivano da me a dirmi che avevano imparato più durante uno stage che negli anni a scuola.


Riccardo Margotti.













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