IL BUON MAESTRO
- Concentrica
- 16 giu 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Contro la violenza del “sapere”, il Buon Maestro è quell'uomo o quella donna che sa accendere il fuoco della curiosità, rendendo vivo il testo nella mente dell’allievo.
Agorà é la rubrica che discute argomenti riguardanti la società.
Ma vi siete mai chiesti quale sia l’origine della struttura sociale, in quale luogo nasca il senso di pluralità, di gruppo, di comunità?
Io penso che questi concetti si imparino, in modo inconscio, a scuola, quando si abbandona il piccolo mondo in cui avevamo vissuto fino ad allora, nel momento in cui si compie il passo verso l’esterno, il nuovo, lo sconosciuto e si lascia la mano di nostra madre o nostro padre per entrare in classe con i nostri compagni.
Non a caso si dice che “la scuola è lo specchio della società”: è come se fosse una miniatura di uno Stato in cui vengono rappresentate, a grandi linee, tutte le tipologie di individui, anch’essi in miniatura.
Non sempre viene riconosciuto il ruolo fondamentale di questa istituzione, non considerando che, invece, è un passaggio di fondamentale importanza per la vita di ogni individuo.
Penso che la scuola non sia solo un luogo dove si imparano definizioni, regole e formule, ma una palestra di vita in cui si forma il nostro carattere e la nostra personalità.
Molto spesso si incorre nell’errore di considerarla “standardizzante”, a causa della quale i ragazzi prendono sembianze di robot o automi: tutti devono rispettare gli stessi orari, programmi e imparare tutti le stesse nozioni.
Un ambiente in cui il Sapere viene visto come un’imposizione, più che un obiettivo a cui aspirare.
Riguardo questo, conservo il ricordo ancora vivido di una vicenda che mi ha cambiato totalmente, quasi come una rivoluzione, che mi ha fatto comprendere il significato di “violenza del sapere” e di cosa ci allontana dal piacere dei libri.
Alle superiori, un giorno, un professore ci ha chiesto cosa rendesse l’uomo, UOMO.
Tutti noi abbiamo risposto in modo differente e molto colorito: ”l’Amore”, “il pensiero”, “la parola”, “l’anima” e così via…
Dopo averci ascoltati tutti quanti, il docente, quasi infastidito o deluso per il fatto che nessuno avesse dato la risposta esatta, ha detto:” l’uomo è uomo in quanto esiste”.
Quale frase più evidente e, per noi studenti, quasi banale!
Ma la scuola non dovrebbe essere così, non dovrebbe ridursi a questa dimensione di severa aspettativa e imposizione.
Essa, secondo me, si compone di vari aspetti.
E’ innanzitutto una routine che divide la settimana e le giornate in ore per nove mesi all’anno.
Questa routine, però, può essere un’arma a doppio taglio:
è positiva nel momento in cui rappresenta il graduale allontanamento del bambino dalla casa materna, dagli ambienti e dai propri cari, per compiere piccoli passi verso l’ignoto, lo sconosciuto e il misterioso;
invece, diventa negativa quando la ripetizione programmatica negli anni, può far perdere ad un insegnante la passione nei confronti della propria materia, causando perciò insoddisfazione, noia in se stesso e, di conseguenza, un calo di interesse negli studenti.
Alla routine però si accosta però la meraviglia della luce.
La luce che rende chiaro il non chiaro, comprensibile quello che prima non lo era, che ci apre lo sguardo, permettendoci di andare al di là delle aride parole stampate nero su bianco e di vedere immagini, di percepire profumi, provare emozioni solo leggendo.
In questo modo, la parola del maestro diventa un’illuminazione, una finestra aperta sul mondo.
Un bravo docente è capace di portare chiarezza, rendendo vivo il testo nella mente dell’alunno, ma, talvolta, è bene che porti con sé anche qualche ombra.
Mi spiego meglio: partiamo dal presupposto che il maestro è un uomo, e, come tale, non può contenere in sé tutta la conoscenza.
Questo suo limite, il suo offrire una qualche rara nozione non chiara, ombrosa è ciò che dovrebbe far scattare la curiosità nello studente.
L’ombra dovrebbe essere come un imput che porta il ragazzo a prendere una torcia (strumento che il maestro gli fornisce) e a vedere cosa vi si nasconde.
Come afferma lo psicoanalista e scrittore Massimo Recalcati in una sua riflessione, è il non chiaro la spinta che ci porta a leggere un libro ancora, è a causa di un’ombra che guardiamo un film ancora, per lo stesso motivo si ascolta una canzone ancora, ancora ancora e ancora.
“Ancora, ancora, ancora” non sono altro che parole dell’amore.
Pensate solamente alla canzone della celebre Mina in cui cerca sempre di più il suo amante e, con lui, il suo amore.
La curiosità, dunque, è la spinta che porta lo studente, ormai stanco della routine, all’amore per lo studio e la conoscenza, che lo redime completamente dalla noia.
Pertanto, compito del buon maestro è accendere il fuoco della curiosità, che non è altro che una forma di amore, di passione.
E parlo di passione, perché, come scrive Daniel Pennac nel suo libro Diario di scuola,
“...Il sapere è innanzitutto carnale. Le nostre orecchie e i nostri occhi lo captano, la nostra bocca lo trasmette. Certo, ci viene dai libri, ma i libri escono da noi. Fa rumore, un pensiero, e il piacere di leggere è un retaggio nel bisogno di dire.”

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